Gli ultimi appunti di Josè Saramago

"Penso che nella società attuale ci manchi la filosofia. Filosofia come spazio, luogo, metodo di riflessione, che può anche non avere un obiettivo determinato, come la scienza che invece procede per soddisfare i suoi obiettivi. Ci manca la riflessione, pensare, necessitiamo del lavoro di pensare e mi sembra che, senza idee, non andiamo da nessuna parte." Gli ultimi appunti di Josè Saramago

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mercoledì 4 agosto 2010

LA PAROLA CHE CREA: LA SCRITTURA CREATIVA

"La parola che crea" s'intitola il mio blog. E c'è un motivo ben preciso per cui ho deciso di chiamarlo così. Amo la lingua italiana, non ne faccio mistero. Così come ho rispetto per tutte le lingue esistenti al mondo. Mi lascio coinvolgere, affascinare, nutrire dalle lingue, perchè son convinta che risiede nella lingua la nostra identità più profonda. La lingua è ciò che racconta la nostra essenza. La lingua madre è la nostra anima. "Più lingue sai, più anime hai." - mi disse tanto tempo fa un docente di Storia del teatro.
La parola che crea è quella che possiede un potere speciale che agisce su ciascuno in diverso modo, ma che su tutti opera emozioni. E' la parola che si origina dai pensieri profondi e che profondamente lascia un segno.
Ho provato in questi giorni a leggere un paio di libri sulla scrittura creativa. Entrambi scritti da personalità emerite statunitensi, entrambi scritti in maniera chiara ed esaustiva. Li ho letti per curiosità, me li sono ritrovati tra i miei. Ma mi sono fatta persuasa di una cosa: come si fa a scrivere senza un bagaglio culturale? Ovvero: da dove attingo se non ho di mio? Ho fatto diversi corsi di scrittura creativa, ho imparato delle tecniche, certo; ma  sono le centinaia di  libri letti negli anni che possono fare la differenza. Tutti impariamo a scrivere nella nostra lingua madre, ma pochi diventano detentori della "parola che crea". Man mano che cresciamo e leggiamo, studiamo, viaggiamo, parliamo magari altre lingue, impariamo meglio la nostra, la potenza di scrittura cresce in maniera proporzionale. A patto di esercitarla, si capisce. Ho sempre avuto un diario "segreto" in cui annotavo eventi ed emozioni, quaderni su quaderni che ancora conservo. Ho sempre avuto un posto tutto mio dove studiavo e creavo con le parole (anche con i colori), prendevo dai libri ciò che più mi parlava e lo trasformavo in pagine nuove. Utilizzavo le parole per creare nuovi linguaggi: ad oggi il mio gioco preferito coi bambini è parlare una lingua fuori dai canoni,  creatività fatta di segni ed espressioni.
Il mio punto forte è la penna rossa in mano, questo è senz'altro vero. Amo la correzione, la revisione. Scrivo, ma più volentieri correggo e rivedo il lavoro degli altri. E' chiaro che se qualcuno mi chiede un pezzo, una traduzione, un articolo, volentieri compongo. Ma se uno mi chiede di rivedergli il lavoro sul far della sera, difficilmente andrò a dormire. Sono una perfezionista della parola scritta. Ma questo perchè ho esasperato il mio cervello nella disciplina della perfezione della scrittura: questo è origine e effetto della mia passione.
Ecco perchè, leggendo questi due volumi, la mia domanda ricorrente è stata sempre la stessa. Ho proseguito perseverante fino alla fine, ma il mio dubbio è rimasto insoluto. Se non hai studiato la letteratura e i classici, letto fino alla sfinimento, passato la tua giovinezza cibandoti dei grandi della poesia, da dove prendi la creatività nel comporre il foglio bianco? Da dove tiri fuori la Parola che Crea?
La parola che crea è un soffio vitale che, passando attraverso di me, origina ciò che i  cinque sensi, la coscienza, il corpo per intero riescono a percepire, in un'esperienza unica e appassionante. D'altra parte per me uno scrittore è creativo quando ciò che scrive mi puntella i reni, mi sospinge gli occhi verso il cielo, mi visita la pancia, mi scuote le gambe, mi fa girare la testa come un calice di Falanghina ghiacciata, che mi riempie il naso di odori e la bocca di emozioni colorate. Ho letto libri che non mi hanno lasciata in pace neanche dopo averli terminati e che all'improvviso un giorno si sono aperti alla mia comprensione in un'esplosione da leggenda. Lì dentro c'era la Parola che Crea. Che è patrimonio di tutti, ma non è da tutti. Unicuique suum. Ad Maiora!

3 commenti:

  1. C'è anche chi è creativo ma nessuno gli ha mai insegnato a scrivere o a leggere, e racconta come un dio ai propri discepoli.
    Ma l'oralità è volatile a contatto con l'aria e non rimane traccia se non nella memoria fintanto che riesce a trattenerla.

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  2. Finalmente qualcuno che la pensa come me sulla necessità di possedere un bagaglio culturale su cui poggiare le fondamenta delle proprie capacità di scrittura.
    Ho avuto, pochissimo tempo fa, una discussione a riguardo su un gruppo di faccialibro. La sostenitrice della tesi contraria alla mia, secondo la quale basterebbe il talento per diventare scrittori, visto che molta gente nasce "imparata", alla fine se n'è venuta fuori con un bel: "E allora spiegami come ha fatto il primo scrittore!".

    Mi sono cadute le braccia e ho gettato la spugna di fronte all'ottusità di certe persone.

    ClarinetteM

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  3. @ClarinetteM

    (sorrido)
    Sai quante persone ho incontrato identiche a quella di facebook?
    Traslando con un salto a piè pari, ritengo che questi esempi dimostrino sempre più quanto la gente creda nell'infusione divina piuttosto che nello studio e nell'esperienza.
    La cultura del lavoro sodo, dell'imparare, del fare pratica per maturare capacità sta diventando diafana. Attraverso essa è possibile scorgere una vita immediata, televisiva, una popolarità senza impegno che per osmosi indebolisce anche la futura saggezza di un popolo.
    Il talento? Facendo un accostamento ardito, dico che il talento è la quantità d'oro posseduta da un individuo, ma è necessario saperla investire per farla fruttare. La banca si chiama Tecnica.

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